Mondo fluido – seconda parte

Seconda parte

 

Un altro fenomeno temporalmente parallelo ai cambiamenti della situazione geopolitica riguarda il progressivo peggioramento della democrazia. La mappa del mondo pubblicata da Freedom House che evidenzia i Paesi liberi (area verde), quelli parzialmente liberi (area gialla) e quelli non liberi (area viola) è davvero preoccupante, visto che la percentuale di persone che vivono in piena libertà – secondo i parametri della stessa organizzazione – è scesa dal 40.7% della popolazione mondiale nel 2001 al 20% nel 2022 (nel 1981, prima del dissolvimento dell’Unione Sovietica, il 35.9% degli abitanti della Terra vivevano in Paesi liberi), ed anche perché negli ultimi 17 anni il numero delle nazioni in cui le condizioni della democrazia peggiorano è sempre più elevato di quelli in cui ci sono miglioramenti. E purtroppo non mi sembrano esserci motivi validi per pensare che questo fenomeno possa invertirsi nel futuro prossimo.

Dimenticando per un attimo i grandi regimi dittatoriali (Russia, Cina, Iran) con profonde radici nelle rivoluzioni e nei cambiamenti interni del secolo scorso che sembrano non perdere la loro capacità di resilienza, il peggioramento nelle condizioni della democrazia è probabile conseguenza dell’affermarsi di “uomini forti” (UF) al governo, un fenomeno che, dopo il movimento per la crescita delle libertà civili e politiche successivo alla fine della Guerra Fredda, ha cominciato a diventare più evidente a partire dal discorso di Putin alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco nel 2007*. Negli anni seguenti, una serie di personaggi di varia formazione, un po’ ovunque, hanno progressivamente alimentato istanze populiste e sovraniste e preso il potere sia in Paesi in fase di (relativa) democratizzazione o con tradizioni democratiche recenti, che in altri sempre reputati come solidamente liberi (anche se, per fortuna, in questi ultimi, si direbbe che i pesi e contrappesi insiti nei loro sistemi di governo abbiano funzionato, almeno per ora). Non che gli UF siano una novità: in tutto il mondo – dalla Bielorussia alle Filippine, dal Venezuela all’Egitto, dallo Zimbabwe alla Cambogia, dall’Arabia Saudita alla Turchia – sono una caratteristica di leadership al governo da molti anni. Ma rispetto agli UF del passato, quelli contemporanei si caratterizzano per un’investitura su basi democratiche (elezioni) e piattaforme liberali. Solo in un secondo tempo, una volta consolidato il potere tramite la corruzione ed il favoreggiamento di amici, fanno emergere la loro vera natura e procedono con lo snaturamento o smantellamento di alcune strutture giuridiche di garanzia quali il sistema elettorale, la durata dei mandati, i poteri della corte costituzionale; insieme alla riduzione della libertà di parola, di stampa ed informazione, ed al silenziamento degli oppositori. Illuminante ancora una volta la dichiarazione di Vladimir Vladimirovic durante il suo primo discorso televisivo alla vigilia del nuovo anno (1999): “ … Lo Stato sarà inflessibile nel proteggere la libertà di parola, la libertà di coscienza, la libertà dei mass media, i diritti di proprietà, questi elementi fondamentali di una società civilizzata…”; sappiamo come poi siano andate le cose; e fatte le debite proporzioni, e adeguandolo alle situazioni e tempistiche locali, questo è stato il copione seguito dagli altri UF. Questo fenomeno – il passaggio da una tendenza alla democratizzazione post 1989 all’affermarsi di molte “democrature” – ha ovviamente varie cause, dagli squilibri economici causati da una globalizzazione parossistica e da una rivoluzione tecnologica accelerata ad una perdita del senso di incolumità personale come conseguenza del periodo di attentati terroristici (e successive contromisure), dagli effetti delle crisi finanziarie al ridotto senso di protezione percepito dall’elettorato per quanto riguarda il peggioramento, per motivi economici, dei benefici dello stato sociale (dove presente). La fluidità che si riscontra nei rapporti internazionali, con il cambiamento di molti paradigmi e con l’emersione di nuove dinamiche in fenomeni certo non nuovi, come l’emigrazione, unite ad uno strabordare di informazione spesso superficiale o falsa e frequentemente violenta hanno favorito percezioni di insicurezza e rabbia. Questo stato delle cose, unito alla pigrizia di molti – soprattutto, ma non solo, fra i meno anziani o i meno istruiti – che li induce a leggere solo i titoli delle notizie od a non cercare fonti più attendibili per verificare la validità delle alternative loro proposte, ha permesso ad alcuni di approfittarsi della situazione, raccogliendo il consenso con promesse semplicistiche ed irrealizzabili.

Non so se i cambiamenti nel quadro geopolitico siano all’origine dell’aumento della presenza di uomini forti, o se sia vero il contrario, o se i due fenomeni abbiano trovato reciprocamente forza.

Il mio dubbio è che le cause alla base delle varie tensioni internazionali e dell’affermarsi di uomini forti, insieme all’affievolirsi della capacità di indirizzo da parte dei Paesi democratici per impostare visioni di lungo periodo per risolvere problemi globali, promuovano un rischio concreto di avviarci verso un mondo multipolare ed instabile, con legami dettati solo dalla convenienza del momento, e diverse ottiche nelle valutazioni dei diritti e dei doveri. Con buona pace dei principi etici ed economici liberali che hanno garantito da metà del secolo scorso una crescita economica e tecnico – scientifica, ed un miglioramento delle condizioni di vita, mai registrato in passato.

In questo scenario complesso e preoccupante, penso che l’Unione Europea, le cui strategie che “avevano garantito prosperità e sicurezza nel passato […] sono diventate insufficienti, incerte o inaccettabili**, non abbia più alibi. Non è più tempo di incertezze e divisioni: se alle considerazioni sull’instabilità geopolitica e quelle legate all’erosione della democrazia aggiungiamo i cambiamenti intervenuti a seguito delle crisi degli ultimi anni, oltre alle sfide insite nelle ipotesi di allargamento dell’Unione nel prossimo futuro, penso che l’UE potrebbe, e dovrebbe, finalmente, trovare l’energia per far evolvere la propria essenza (e ragion d’essere) con modifiche sostanziali ai propri regolamenti, soprattutto in materia di politica estera, di difesa, e fiscale.

Ciò per diventare finalmente un attore solido, autorevole ed unito, che possa esercitare la propria influenza oltre il soft power, diventare credibile ed ascoltato nella soluzione delle crisi internazionali, e rallentare il processo di indebolimento dell’Occidente democratico e liberale nei confronti del Grande Sud, in ascesa antagonistica con la regia cinese. In definitiva per essere il baluardo della democrazia e delle libertà civili.

Dovremmo ricordarcene al momento di votare alle elezioni europee il prossimo anno.

* Rachman: The age of the strongman, Bodley Head, London 2022

** M. Draghi: On the path to fiscal union in the euro zone; The Economist, 6 September 2023

 

 

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